Prefazione e ringraziamenti
PREFAZIONE
a cura di Francesca CapobiancoVerona, sono le mura magistrali a indicare, con il loro tracciato circolare fatto di terrapieni, laterizi e pietra, il punto esatto in cui il centro storico cede il passo alla periferia. Costruita per la difesa della città, la cinta muraria separava l’area urbana dalla campagna circostante e si trovava così a rappresentare un margine, un confine, che definiva un dentro e un fuori e distingueva chiaramente lo spazio interno, ben organizzato da quello esterno, incolto e privo di controllo.
Poi però, si svilupparono i quartieri e le mura, da linea di separazione diventarono un elemento di continuità che, attraverso le brecce aperte ai lati delle porte cinquecentesche, avrebbe unito tra loro le stratificazioni urbane e, come un’impuntura chilometrica di filo grosso, avrebbe legato la città antica alla periferia.
Con quest’operazione la città antica diventò, progressivamente, zona commerciale e direzionale e perse di fatto molti dei suoi abitanti. E con le persone se ne andò anche l’anima della città. Erano due, in realtà, le identità di cui si componeva il centro storico ed entrambe fluirono attraverso le mura, andando a definire il carattere distintivo di quei primi quartieri cittadini nati tra fine ‘800 e i primi ‘900; una era l’anima popolare, l’altra quella più elitaria, una era quella rappresentata dai palazzi aristocratici, l’altra era quella dei fondaci e dei laboratori artigiani. Fu così quindi che Borgo Trento si andò configurando fin da subito come area residenziale per l’alta e la media borghesia, Borgo Venezia diventò il primo quartiere operaio e Borgo Milano un quartiere dalla marcata impronta popolare.
Il processo di espansione edilizia di Verona continuò fino agli anni ’90 del secolo scorso con la nascita di altri quartieri nella cintura più esterna. Si trattò spesso di piani di urbanizzazione frutto di valutazioni politico economiche che poco avevano a che fare con un’attenta progettazione urbanistica e che lasciarono impressa su quegli spazi urbani di più recente formazione un’impronta evidente, capace di raccontare anche oggi la genesi di quei luoghi.
La storia di un quartiere, infatti, si impara osservandone l’estetica, i contorni, gli spazi. Si impara dai toponimi delle strade che ne regolano la mobilità, dalle facciate dei palazzi che ne delimitano gli isolati, dall’ampiezza delle sue piazze, dalla quantità e qualità dei suoi spazi di aggregazione.
Per trovare l’anima dei quartieri, invece, si deve guardare altrove. Si devono osservare le persone che li attraversano, le botteghe che si affacciano sulle loro vie, i mercati rionali, perché è lì che si riflettono in modo cristallino i cambiamenti socio economici che quegli spazi urbani hanno vissuto nel corso dei decenni.
Gli abitanti dei quartieri, in virtù della omogeneità socio culturale che, spesso, caratterizza questi luoghi, costituiscono un chiaro spaccato della loro socialità ed è proprio in quanto alla natura fluida di questa dimensione sociale che le facce della gente rivelano fedelmente, più di ogni altro aspetto, la realtà socio economica di un quartiere, oltre che il dato costantemente aggiornato sulla sua composizione culturale. Non ci sarà da stupirsi se, ad esempio, gli incontri che si fanno per le strade di Santa Lucia non saranno esattamente gli stessi, in termini di diversità etniche o anagrafiche, che si potranno fare a San Zeno piuttosto che in Borgo Trento o in certe aree di Porto San Pancrazio.
Allo stesso modo, gli spazi commerciali dei quartieri, con le loro continue chiusure e riaperture, il succedersi dei proprietari e l’alternarsi delle insegne, in quanto realtà viva e in costante evoluzione, sono il riflesso preciso del cambiamento degli stili di vita, del costume, della composizione sociale di quei luoghi. Molto banalmente, se i negozi di caccia e pesca risultavano essere piuttosto numerosi fino agli anni ’80 del secolo scorso, ora, si contano sulle dita di una mano, in quanto segno inequivocabile dell’evoluzione delle preferenze di hobbistica delle persone.
I quartieri, indipendentemente da qualsiasi giudizio estetico o di valore che vorremmo e potremmo esprimere, sono un terreno di indagine particolarmente interessante, che diventa molto utile laddove la riflessione si focalizza sui meccanismi sociali che muovono la città nel suo complesso; e lo sono in modo autentico, senz’altro maggiormente rispondente alla realtà rispetto al centro storico, viziato dal fenomeno disturbante del flusso turistico e, in quanto tale, sempre più connesso alla soddisfazione di richieste e bisogni del mercato più che dei residenti.
È proprio in questo senso che la fotografia può essere d’aiuto alla riflessione sulla complessità dei quartieri come entità socio-spaziale e può diventare uno strumento dell’indagine, che invita a spostare l’attenzione sui dettagli e su quegli aspetti di realtà che mettono al centro l’umanità, nella consapevolezza che è proprio là che si potrà cogliere l’anima dei luoghi.
Francesca Capobianco
RINGRAZIAMENTI
Sono nata e cresciuta vicino ai binari dei treni, nella casa del mio trisavolo, figlio di un fabbro di origini veneziane, che approdò a Verona a metà del XIX secolo costruendo la linea ferroviaria Venezia - Verona.
Oggi il caso ha voluto che mi stabilissi a mia volta in una casa popolare INA, sempre accanto alla ferrovia, in via Giobatta Domaschi, al quale dedichiamo questo libro.
Il giovane anarchico Veronese, infatti, è stato la scintilla che ha dato vita all’intero progetto. Quando, ad un evento organizzato dall’associazione culturale La Sobilla mi accorsi che la biblioteca portava lo stesso nome della via dove abito, chiesi informazioni al curatore Andrea Dilemmi, il quale mi rivelò di averne narrato le imprese nel libro “Le mie prigioni e le mie evasioni”.
Scoprii così che Giobatta Domaschi, operaio presso le officine ferroviarie vissuto al Porto San Pancrazio, aveva frequentato gli stessi ambienti del mio bisnonno Alfredo Goattin, macchinista attivo nel sindacato dei ferrovieri. Colsi questa coincidenza come un segno, l’occasione per cominciare a guardare le strade del mio quartiere con occhi diversi e per conoscere molto di più sulle mie origini.
Per le circostanze in cui ci siamo trovati nel 2020, il lavoro del collettivo è stato molto impegnativo e qui vogliamo sinceramente ringraziare tutti coloro che hanno contribuito:
Paolo Goattin, nipote del Cav. Attilio Rossi, per gli aneddoti e il materiale fornito; Francesca Capobianco per la prefazione; Andrea Dilemmi, Michele Coati, Giovanni di Il Gabbiano J.- arte cuoio, Lia di Libre, Osteria Ai Preti, Maurizio Gioco, pasticceria La Ribalta, Alessandro di Abbigliamento Recchia, Piero Testoni e il professor Giuseppe Rama, Ciocchetta Nicola di Autofficina Basso Acquar, il Calzolaio Giorgio, Bar La Rocca, Ottica Dall’Ora, Silvia Melotti, Ilaria Fasolo, Marco Sancassani, Mirko De Santi, le chicas, APS Magazzino Verona per aver creduto nel nostro progetto e per averlo sposato; Massimo Sbardelaro di Vecomp Spa per aver ospitato gli incontri di verifica del gruppo di lavoro; tutte le persone incontrate, durante le riprese fotografiche, di cui non ricordiamo i nomi, che ci hanno portato testimonianza della vita nei quartieri di Verona. Infine un ringraziamento speciale a Gianluca De Santi per la dedizione e la cura con cui ha dato forma e vita al materiale raccolto.